Il naming e Steve Albini
È da un po’ che penso come raccontarvi che cos’è il naming, insomma, che lavoro è.
Devo dire che non mi va di fare il pippone su quanto un buon nome di brand sia importante anche per una piccola attività, che prima d'essere bello dev'essere strategico, che quando si parla di naming il fai da te può essere disastroso e dispendioso…eccetera. Non mi va di ripetere qualcosa che potete trovare ovunque, chiedendo a Google oppure ad una intelligenza artificiale a caso. Lo trovo poco interessante (io, per dire, non continuerei a leggere).
Invece di partire dalle definizioni e dalle cose che si dicono sul naming, proviamo a mischiare le carte e iniziamo da un’altra parte.
Qualche giorno fa ascoltavo podcast e leggevo cose su Steve Albini, leggendario produttore musicale e figura iconica nel panorama indipendente, ahinoi recentemente scomparso.
Lui disse (o meglio, scrisse in una famosa lettera):
“Mi piace lasciare spazio agli accidenti e al caos. (…) Preferisco lavorare a dischi che aspirino a qualcosa di grande, come l’originalità, la personalità e l’entusiasmo.”
Prima ancora che un produttore, Albini era un ingegnere del suono, quindi un artigiano, in un certo qual modo. Per lui, un lavoro fatto bene non poteva prescindere dal fatto di catturare il più fedelmente possibile il suono di una band, cercando quando si poteva di registrare i musicisti mentre suonavano insieme, e non singolarmente, in modo da non andare ad aggiungere o togliere niente a quel suono con le sovraincisioni e gli assemblaggi successivi, come di solito avviene nella post-produzione di un disco.
Dopo il lavoro di Steve Albini, il risultato per chi ascolta è un’esperienza immersiva (così come è stata definita in uno degli articoli che ho letto), che ti prende per mano (e a volte per la collottola, devo dire, con un piglio un filo più deciso) e ti porta al centro della musica, dritto al cuore di ciò che quella band ha da dire al mondo.
Ecco, magari il parallelismo è ardito, ma riflettevo sul fatto che, un po' come una band musicale quando incide un nuovo album, un brand, quando cerca un nome, cerca un suono che sia rappresentativo della propria voce, di ciò che sta raccontando e del modo in cui sceglie di raccontarlo.
Un modo unico, che chi fa il mio mestiere ha il compito di intravedere, valorizzare, estrarre e restituire senza manipolazioni o aggiustamenti di alcun tipo.
E la strategia? e il posizionamento? dove li mettiamo?
Li mettiamo al servizio del messaggio, non al comando delle scelte, li facciamo arrivare un passo dopo.
Per questo è difficile fare da sè quando si cerca un nome per la propria attività, per un prodotto o per un servizio, per questo ci vanno occhi esterni ed esperti.
Il naming, in sostanza, è un processo durante il quale ci si mette a servizio di un brand per esprimere attraverso un nome nient’altro che quello che è.
Ci vanno metodo, pulizia, osservazione, ascolto, capacità di leggere tra le righe, di andare oltre, e anche e soprattutto di fare un passo indietro a risultato raggiunto.
Questo, in sintesi, è il mio approccio a questo lavoro.
Steve Albini sarebbe orgoglioso di me?
Non lo so, ma senza dubbio io gli sono grata.